21.3.09

Per gli amici del G8 di Rebibbia (IV di Quaresima 2009)


NELLA NOTTE
la notte del carcere/nel carcere: la notte della privazione della libertà, la notte della lontananza dai propri cari... ma soprattutto
la notte della coscienza/nella coscienza: le paure che hanno condizionato la vita passata e quelle che toccano e intaccano la serenità di oggi; la notte degli idoli, delle cose che portano al male e alla delinquenza, la notte della vergogna del male commesso (“le loro opere erano malvagie”), la notte dei rimpianti per le occasioni perdute.
L'eclissi di Dio non rimane senza conseguenze: diventa eclissi della ragione, dell'umanità; si trasforma in eclissi della convivenza civile e eclissi del reciproco rispetto ed accoglienza.

In questa notte si scopre che il giudizio - paradossalmente - non viene da Dio (per così dire, dall'esterno) ma dall'interno dell'uomo: è come la conseguenza delle opere che si fanno.
Si preferisce non fare una scelta definitiva, una opzione fondamentale dalla quale dipendano tutte le altre scelte quotidiane. Ci si tengono aperte tutte le possibilità, si preferisce moltiplicare le esperienze, provarle tutte (almeno fino a quando soddisfano e appagano) e mollarle/lasciarle senza troppi rimpianti (quando sono ormai sfruttate). Qualche riferimento? Moglie e figli cui si aggiungono senza troppi problemi altre conviventi/amanti/compagne e altri figli; amici che diventano complici; furbizie e sotterfugi di ogni tipo, per sfuggire alle conseguenze degli atti che si compiono e per dimostrare (ma a chi?) quanto si vale...
Ci si illude che la vita sia un susseguirsi di esperienze, di fatti scollegati fra loro; ci si illude di poter passare da una situazione all'altra come se fra di esse non ci fosse nessun legame, come se si potesse disporre tutto (e tutti) secondo le esigenze personali.. in realtà si sta facendo (o si è fatta, magari anche inconsapevolmente) una scelta, fondamentale perché condiziona l'intero futuro; ci si è incamminati (forse anche da soli) sulla strada che porta fino a qui, nella notte della delinquenza e del carcere.

Ma il Vangelo non finisce nella notte: Nicodemo, di notte incontra il Signore e trova risposte alle domande che si portava nel cuore da tempo e alle quali non riusciva a dare soddisfazione.
Di notte forse perché si sentiva personalmente nel buio, nella disperazione, senza scappatoie né rimedi facili, quei rimedi troppo facili, troppo comodi cui ci si è abituati...
Di notte forse perché aveva timore del giudizio degli altri, che non lo tenessero più in considerazione come “uno di quelli che contano”, come se aprirsi alla luce della fede fosse una cosa di cui vergognarsi... ci si vergogna della fede e non ci si vergogna della delinquenza, del male, dell'egoismo?
Il Vangelo non finisce nella notte della morte ma nella luce del mattino di quel “giorno dopo il sabato”, quando la tomba è aperta e vuota, spalancata sulle risurrezione, sulla vita nuova e rinnovata; la “luce della verità, perché appaia chiaramente che le opere [e la vita] sono state fatte [e vissute] in Dio”.

“Premurosamente e incessantemente” - dice la prima lettura – il Signore manda i suoi messaggeri ad ammonire: due avverbi che la dicono lunga.
Premurosamente, perché Dio ha compassione e si prende a cuore la nostra umanità debole e fragile; perché Dio – addirittura – previene il male che siamo portati a compiere e in qualche modo lo precede, anticipa le sue mosse: “Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto ma abbia la vita eterna”.
Incessantemente perché questa storia di salvezza non si è mai interrotta, non è ancora conclusa; perché la conversione e la riconciliazione sono ancora e sempre possibili; perché “il sacramento della rinascita ci libera dalla schiavitù del peccato e ci eleva alla dignità di figli”.

Nessun commento: