16.3.09

Nonna Maria...


2Cor 4,14 – 5,1
Sl 23: “Accoglimi, o Dio, nella tua dimora”
Mt 25,1-13

E così la nonna Maria è partita. Da qualche parte lei starà aggiungendo: «Era ora!», ma per noi la cosa non è così pacifica. Comunque è partita come voleva lei, in silenzio e quasi senza dirlo a nessuno (in verità tutte le volte che qualcuno partiva, lo diceva che sarebbe stato l'ultimo saluto...).
Per il nostro ultimo saluto ho scelto queste due pagine del Nuovo Testamento: parlano della fede cristiana, lasciano un messaggio di speranza, raccontano qualcosa anche della nonna...

Paolo ha appena attraversato una dura prova, che l'ha toccato personalmente e ha coinvolto la comunità di Corinto, alla quale è molto legato; apre la sua pagina affermando il fondamento della sua fede e della sua speranza, la risurrezione di Gesù Cristo: «Siamo convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi». Poi sottolinea che per lui e per gli amici di Corinto la prova, affrontata e attraversata nella fede, non è stata sterile, per nessuno: grazie a Dio si è trasformata in crescita «Tutto infatti è per voi, perché la grazia, accresciuta ad opera di molti, faccia abbondare l'inno di ringraziamento, per la gloria di Dio». Forte di questa esperienza spirituale, Paolo arriva all'invito centrale: vivere nella dinamica del provvisorio, in tensione tra ciò che è già presente e ciò che non è ancora; invita a non fermarsi alle apparenze, per attaccarsi a ciò che non si vede; a non fissarsi sull'immediato (che passa) per attaccarsi a ciò che rimane: «Il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, che sono di un momento, ma su quelle invisibili, che sono eterne». Così si passa dalla «abitazione terrena, che è [provvisoria e precaria] come una tenda», alla dimora eterna che Dio prepara nei cieli.
Questo sguardo capace di discernere e distinguere ciò che passa da ciò che rimane è lo sguardo della fede. Ci sono cose che passano e cose che rimangono; cose che si vedono e cose che non si vedono, c'è il momento presente e lo straordinario peso della gloria, il provvisorio e l'eterno. C'è l'uomo esteriore e l'uomo interiore. E le prove e le sofferenze (per quanto impegnative e dure da affrontare), vissute con fede, speranza e amore contribuiscono nonostante tutto a fare di noi ciò che siamo, ci aiutano a rivedere la nostra gerarchia di valori, ci aprono alla sensibilità verso la pena e la sofferenza del nostro prossimo.
Penso alla nonna: è stata figlia, moglie, vedova per molti anni, madre per la sua famiglia, madre la seconda volta per i nipoti, madre la terza volta quando è tornata dai suoi genitori, ridiventati come bambini per l'età, e se ne è fatta carico, di nuovo e sempre con consapevole generosità. Penso a questa eredità: come ci ricorda San Paolo, tutti i gesti di amore, di dedizione, di dimenticanza di sé per aprirsi agli altri, tutti i legami intrecciati lungo una vita, tutte le ricerche del volto del Signore, tutto questo non passa, fa parte di ciò che rimane, di ciò che Dio accoglie per portarlo a pienezza nella vita eterna.

«Dicci quando succederà...!»: così gli Apostoli si erano rivolti a Gesù; e il Maestro risponde con quattro parabole sulle vigilanza. Ne abbiamo ascoltata una, la terza, della quale voglio sottolineare la seconda parte: non basta essere invitati, bisogna essere preparati. Per essere “riconosciuti” dal Signore il giorno del suo ritorno dobbiamo giocarci tutto oggi, nelle nostre scelte quotidiane.
Non è una minaccia, non è un giudizio severo di cui avere paura. Non dobbiamo prepararci per lo scrutinio finale ma per l'incontro con il Signore, nella gioia. Allora è bene prepararci a questo grande momento con tutta la nostra vita: è nello scorrere della vita che bisogna prevedere l'imprevedibile, non attraverso cose straordinarie ma con il quotidiano più ordinario vissuto in spirito di servizio a Dio e ai fratelli, uno spirito che ci sposta da noi stessi per aprirci all'Altro e agli altri. Così, quando sarà il momento dell'incontro, sia che dormiamo sia che siamo svegli, sia improvviso o no, dato che «non sappiamo né il giorno né l'ora», saremo pronti e potremo entrare nella gloria di Dio. Prevedendo questo momento, non sarà tanto questione di prepararsi a morire ma piuttosto di imparare a vivere, e a vivere ogni giorno come figli del Padre, sull'esempio di Gesù. Allora sì che saremo “riconosciuti” dal Padre, perché porteremo in noi l'immagine del suo Figlio.
La nonna non era di sicuro impreparata: da diverso tempo, certo, chiedeva preghiere “per i cari defunti e per la mia buona morte”, ma la sua preparazione è iniziata molto prima, con una fede semplice e schietta portata avanti con serenità, una fede alla quale ricorreva spesso, sempre. Ho un ricordo che mi sembra lontanissimo (risale ad almeno trentacinque anni fa) eppure è molto chiaro: mi ricordo di una camera da letto, di sera, a Serina; di me, già sotto le coperte, e della voce della nonna che, nel buio, recita la preghiera del “Ti adoro della sera”. La recita per sé ma anche per me, così la imparo poco alla volta.
Così ogni giorno, fino all'altro ieri: si era evoluta, adesso aveva la radio accesa per guidare la preghiera, ma non con meno fede.

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