30.1.08

Anima Grande

Il 30 Gennaio 1948, proprio mentre si stava recando come sempre alla preghiera della sera, un giovane dopo essersi inchinato per tre volte uccide con tre colpi di pistola il Mahatma ("Anima Grande") Gandhi: il suo amore universale e inglobante anche il proprio nemico era intollerabile per gli interessi di coloro che nn avevano fatto il suo lungo percorso di umanità.

Padre Ottavio ne ha spesso citato con ammirazione la "satyagraha", la "fermezza nella verità": una fermezza che non può e non deve mai essere confusa con la violenza in nome della verità. La satya/verità è incompatibile con ogni forma di violenza e può essere imposta solo - diceva Gandhi - "a mani nude", ossia con la ferma e rigorosa fiducia nella forza intrinseca della verità e non dei mezzi con cui può essere imposta agli altri.


La sfida dell'anima è l'eredità del Mahatma Gandhi per il nostro mondo che ancora cerca un linguaggio e mezzi adeguati per dire e per costruire il proprio futuro. Un po' più di digiuno dalle proprie strategie e risorse e un po' più di silenzio potrebbero molto aiutarci: "sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo".

25.1.08

«Antiqui paulatim…

…et quasi pedetentim intraverunt in cognitionem veritatis», insegna San Tommaso: di qui la necessità di ricollegarci al loro sforzo, se non altro per capire la nostra localizzazione, la “mappa dell’esistenza” nella quale leggere la nostra esperienza umana e giuridica. Ma detta mappa non è altro che Gesù Cristo: in Lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, poiché tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste. Tutto si risolve in una testimonianza a Suo favore.

[…]

Compito ancor più difficile e ingrato in una società, quale la nostra, senza radici perché senza pensiero, immersa nel sonno del consumismo e della mercificazione della cultura, e perciò aperta a violenze e ingiustizie senza precedenti, appena percepite solo perché in fondo non ci toccano, alla possibile implosione della democrazia e dello Stato di diritto. Come promuovere la fede, e servire la giustizia, anche studiano diritto romano? Personalmente, vorrei che per noi, in Gregoriana, anche lo studio della nostra storia, e del diritto romano (questo lusso che ci permettiamo) avesse questa motivazione. E così anch’io “penso che il male [cioè i tanti mali e ingiustizie che vediamo nela vita quotidiana, tra individui e Nazioni, quelle “strutture di peccato” che i Pontefici denunciano profeticamente, cioè invano] non sia un male radicale che va alle radici; penso che il male non abbia profondità e che questa sia la vera ragione per cui è così terribilmente complicato pensarlo, poiché il pensare, per definizione, vuole andare alle radici. Il male è un fenomeno di superficie. Non è radicale, è invece semplicemente estremo. Noi resistiamo al male non scivolando sulla superficie delle cose, ma fermandoci e iniziando a pensare, cioè raggiungendo una dimensione altra dell’orizzonte della vita quotidiana”. Il chi siamo, da dove veniamo, cosa desideriamo. Anche il diritto romano può contribuire a ciò.

Dire "grazie" a Padre Ottavio per queste - e altre! - riflessioni è solo un inizio... ma lo faccio volentieri.

23.1.08

qualche tempo fra le nebbie padane...

Il calendario mi permette di tornare a Crema per qualche giorno (sfrutterò l'occasione..!), prima di iniziare il secondo semestre che si preannuncia abbastanza intenso.. E' vero che arriveranno anche le feste pasquali ma quelle non le considero propriamente vacanze (anche se Ettore è di un parere diverso).
Ci vedremo allora all'inizio della Quaresima, a presto...

19.1.08

NON C'ENTRA!

Nella buriana mediatica di questi giorni, proprio mentre il Papa decideva di non andare alla Sapienza, mentre ognuno si precipitava a dare le sue personali giustificazioni, mi è balzata agli occhi una parola che rischiava di perdersi tra le altre: «Che c'entri con noi? Sei venuto a rovinarci..!» (Mc 1,24, nella lettura evangelica di martedì scorso).

Come se le esigenze del Vangelo fossero un “troppo” con cui – appunto – non si vuol avere a che fare: è il veleno del serpente antico, che ogni tanto si fa sentire, così da far dire: Io con Dio non c'entro o, peggio: Dio non c'entra!. E allora c'è chi fugge dalla presenza del Signore (come fa il demonio).

Ma c'è anche chi «si alza e va a presentarsi al Signore» (1Sam 1,9, lettura di martedì) per dirgli: Tu c'entri con me e io c'entro con te.

Ora, non voglio entrare nella buriana di cui sopra ma a livello personale...

È una sfida a cui, continuamente, sono messo di fronte: accettare – e amare – l'idea che Dio c'entra con quello che vivo e, per questo, mi accompagna misteriosamente ma realmente in tutto ciò che vivo. Questo non significa che Egli risolva i miei problemi e i miei dubbi, ma mi permette di guardarli e di affrontarli non da solo, non più prigioniero di me stesso e dei miei preconcetti. Non mi evita la fatica di vivere e di cercare, né il peso del mio personale combattimento contro la mediocrità. Mi libera dalla rabbia di pensare che Lui “mi voglia male”. Questo, mi basta.